Si celebra il 12 settembre il No Plastic Bag Day: ecco perché è nata la giornata internazionale senza sacchetti di plastica.
Come ogni giornata mondiale, quella del 12 settembre nasce per sensibilizzare su una tematica importante: la No Plastic Bag Day, lo dice il nome stesso, ha l’obiettivo di ridurre il più possibile l’utilizzo dei sacchetti di plastica monouso. La giornata internazionale senza sacchetti di plastica è nata nel 2009, promossa dalla The Marine Conservation Society, al fine di sensibilizzare tutti sull’uso dei sacchetti di plastica e della plastica in generale.
Secondo i dati dell’Unione Europea, ogni anno vengono prodotte in Europa 100 miliardi di borse di plastica, di cui molte finiscono negli oceani.
L’utilizzo dei sacchetti di plastica genera 25 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica.
È proprio l’Ocse a dare l’allarme: nel mondo solo il 9% della plastica viene riciclato. Infatti, la produzione dei rifiuti contenenti plastica si è triplicata rispetto ai numeri di vent’anni fa. Sono numeri preoccupanti che ci fanno capire quanto grave sia la situazione, non venivano applicate strategie green e sostenibili? Come si può invertire la situazione?
Come finisce la plastica in mare – Shutterstock1074166649 di Rich Carey
Ecco quali sono i detriti che finiscono in discarica, o negli inceneritori o purtroppo direttamente nell’ambiente.
In totale, si calcola che tra tutti questi rifiuti ne venga riciclato solamente il 9%. È un dato che ci fa capire che nemmeno la pandemia Covid-19, che si pensava portasse cambiamenti positivi e consapevolezze, ci è riuscita. Durante il pieno della pandemia Covid-19, l’utilizzo di plastica era decisamente diminuito, si parla di un 2,2% rispetto all’utilizzo che se ne faceva prima. Anche se, nello stesso momento pandemico si era registrato un aumento di tutti quei rifiuti prodotti da imballaggi alimentari utilizzati per l’asporto, alle mascherine adagiate sul suolo. Poi, purtroppo, con il riprendersi dell’attività economica, l’utilizzo di plastica è tornato ai livelli pre-pandemici, ci troviamo in una situazione d’emergenza.
Sia chiaro, non tutti paesi si devono prendere colpe allo stesso modo. Per via del fatto che quasi la metà di tutti i rifiuti plastici viene generata nei paesi dell’Ocse. I numeri sono esorbitanti e preoccupanti, si parla di un 221 kg negli Stati Uniti, a 14 kg nei Paesi dell’Unione Europea, e poi si arriva sino a 69 kg in Giappone e Corea. I Paesi dell’Ocse rappresentano l’11% di tutte le perdite di macroplastiche e anche il 35% di quelle microplastiche.
Come sostituire la plastica in casa – shutterstock foto di Julia Sudnitskaya
È l’Ocse a chiederselo, l’unica possibilità è quella di agire e cooperare a livello internazionale per ridurre proprio la produzione della plastica. L’innovazione potrebbe aiutare, per esempio, ma anche una progettazione dei prodotti che rispetti l’ambiente.
Bisognerebbe creare un mercato che sia separato e soprattutto un mercato che funzioni in maniera ottimale per la plastica riciclata.
Per convertirsi ad una vita plastic free la scelta più immediata è quella di puntare ad oggetti di uso comune composti da materiali alternativi, e optare per il riuso. Riducendo, così, l’utilizzo di prodotti monouso, come le cannucce di plastica, i sacchetti della spesa, le gomme da masticare e i bicchieri, le posate e piatti usa-e-getta. Questi infatti, sono difficili da riciclare e sono i principali responsabili dell’inquinamento. Piuttosto è meglio preferire le nuove posate in bambù che oltre ad essere belle da vedere sono utili e hanno un minor impatto ambientale.
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