L'Arco di Christo, trionfo sulla morte e metafora della pandemia - HuffPost Italia

2022-09-10 02:42:16 By : Mr. Benjamin Ma

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C’era una gran folla all’Arc de Triomphe domenica 26 settembre, tutti con lo smartphone (e io tra loro) per fotografare e consegnare a Instagram e social vari, “l’impacchettamento” dell’Arc de Triomphe realizzato seguendo il progetto di Christo e Jeanne-Claude, la coppia di artisti che lo aveva ideato e che però non è riuscita a vederlo realizzato.

Bisogna tenere conto del monumento per capire il senso dell’operazione. L’arco di trionfo è uno dei simboli iconici di Parigi, voluto da Napoleone nel 1806 ma finito da Luigi Filippo che lo volle dedicare alla memoria di tutti coloro che si erano battuti per fare grande la Francia, compresi i rivoluzionari e i repubblicani. Dal 1920 alla base arde una fiamma perenne che ricorda i caduti di tutte le guerre del 900.

Per due settimane, fino a 3 ottobre, l’Arco resterà avvolto da 25.000 metri quadrati di tessuto in polipropilene riciclabile, fissato con 3.000 metri di corda rossa, anch’essa riciclabile, secondo il progetto, ma si potrebbe dire il sogno, di Christo e sua moglie Jeanne-Claude. Avvolgere in stoffa, come fosse un oggetto da impacchettare, palazzi e monumenti è diventato nei decenni il loro tratto artistico di riconoscimento.

Tra le opere più famose di Christo e Jeanne-Claude c’erano l’involucro dell’intero Reichstag a Berlino nel 1995 e il Pont-Neuf a Parigi nel 1985 o Porta Pinciana a Roma nel 1974. Questo di Parigi è forse il progetto che ha impiegato più tempo, perché risale al 1962, anno in cui il giovane Christo Javaceff (o Javacev) ha ventisette anni, da quattro vive da esule a Parigi, dopo la fuga dalla Bulgaria, dove era nato, paese ormai entrato  nel sistema dittatoriale del socialismo reale. Ha conosciuto la coetanea Jean Claude Denat de Guillebon, inizialmente perché frequenta la sorella di lei, Joyce, poi perché tra i due nasce una relazione, sempre più intensa (Jeanne-Claude lascerà poi suo marito nell’autunno 1959, perché incinta  del figlio Cyrill che nascerà nel maggio 1960). 

Dal 1961 iniziano la collaborazione in coppia che durerà tutta la vita per progetti di intervento artistico in spazi pubblici che avrà, oltre lo specifico estetico,  una caratteristica, mantenuta fino all’ultimo: essere totalmente autofinanziate, senza prendere mai fondi pubblici.

Christo cura l’idea, Jeanne-Claude l’organizzazione, le opere sono firmate assieme. L’idea di avvolgere l’Arco venne ai due nella soffitta in cui Christo abitava da artista spiantato e da cui si vedeva l’Arc de Triomphe. Al momento di dare il via al progetto, nel 2020 la sua fama gli consente di mettere a disposizione 14 milioni di euro, tutti provenienti dalla società fondata dai due artisti, la “Estate di Christo V. Javacheff”, attraverso la vendita di dipinti, disegni, studi preparatori, collage, nonché modelli in scala e  opere degli anni ’50 e ’60 e litografie originali su altri argomenti, senza un soldo da fondi pubblici.

Quel sogno di sessanta anni fa però i due non hanno potuto vederlo compiuto. Jeanne-Claude era scomparsa nel 2009 e neppure Christo avrebbe potuto, perché l’intervento era previsto nel settembre 2020 mentre Christo muore a maggio dello stesso anno. Il mese d’inizio autunno era stato scelto per non disturbare la nidificazione del falco pellegrino tra i bassorilievi dell’Arco.

Ora che è portato a termine dopo la morte della coppia, si è trasformato in un intervento transitorio che tuttavia resterà nella memoria anche come un “trionfo” dell’arte sulla morte. Sempre attenti allo spazio pubblico di aggregazione, anche la condivisione social delle immagini, si fa mezzo anche esso evanescente ma pure parte del gigantesco archivio digitale che esiste nei server del mondo, in cui sono impacchettati miliardi e miliardi di istanti delle vite dell’umanità. 

Il senso dell’opera è dunque tra lunga durata e transitorietà estrema (ha scritto lo stesso Christo a proposito dei tempi lunghi di questo progetto: “Abbiamo impiegato 10 anni per il Pont Neuf. 25 anni per il Reichstag perché è stato rifiutato tre volte. Abbiamo aspettato 26 anni per i Gates di Central Park, rifiutati più e più volte. Questa non è pazienza... Jeanne-Claude ha sempre detto che era passione”).

Un elemento semplice aperto a polisemie: monumento impacchettato come oggetto di consumo,  packaging elemento cruciale del consumismo globale, (simbolo cool, il pacco Amazon) e in negativo, come rifiuto inquinante. Ma anche gesto politico avvolgere palazzi di governo e monumenti, come due lillipuziani che sottomettono Gulliver. In Francia però aveva deciso di includere i l mantenimento della fiamma perenne.

La polisemia delle opere attinge anche alla storia della cultura (l’arco come simbolo di purificazione dopo il sangue delle guerre e forse l’installazione di Porta Pinciana a Roma è l’opera di Christo più vicina a questa) sia alla storia dell’arte, dove il “panneggio” è uno elemento chiave dei volumi delle figure dipinte, nonché un effetto simbolico (si pensi al telo che avvolge il corpo di Cristo dopo la morte, la cui materia (oggi scientificamente acclarata come falso medievale) per secoli ha tuttavia costituito “memoria” sacra - e fotografica - del corpo Redentore, in absentia.

Oggi l’Arco, sottratto per due settimane alla funzione patriottica, diventa ara laica: rammenta al mondo che esso (e noi col mondo) può essere sorpresa, cura, custodia, fragilità e a tutto questo proprio l’arte dà un contributo fondamentale. Non solo, questa ultima opera che ereditiamo dopo un anno difficile ci dice qualcosa, indirettamente (ma la metafora è sempre indiretta perché libera) della pandemia che ha “impacchettato” il mondo, lo ha chiuso alla vista così come la mascherina ha coperto con un panneggio il volto di tutti. Ora è tempo di nuovo svelamento, di ἀ–λήθεια di verità, ritrovare il mondo non per come era,  ma anche vederlo diverso, come sarà l’Arco che uscirà da sotto il manto di Christo e Jeanne-Claude.

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