ytali. - L’eccezione iberica

2022-06-25 03:10:47 By : Mr. Peter Li

Un “trattamento speciale, un’eccezione per la Penisola Iberica”. Così, concludendo il 26 marzo il Consiglio europeo tenutosi a Bruxelles, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha definito il regime eccezionale che consentirà a Spagna e Portogallo di gestire i prezzi dell’energia imponendo politicamente il prezzo massimo nel mercato all’ingrosso del gas.

Pedro Sánchez e António Costa hanno di che essere soddisfatti. Buona parte del Consiglio europeo si è occupato del prezzo dell’energia, dello sganciamento del prezzo dell’elettricità da quello del gas e della possibilità di porre tetti decisi politicamente ai prezzi di mercato. Si è discusso, si è detto ma si è rimandato ad altro momento. Spagna e Portogallo potranno farlo, previa presentazione alla Commissione europea di un piano e per un periodo limitato.

La Spagna era arrivata a questo vertice in una grave situazione, passata rapidamente con lo scoppio della guerra dal bruciare tappe nella ripresa post-Covid all’affacciarsi sull’orlo di una crisi sociale di vasta portata. Negli ultimi dodici mesi il prezzo della luce era aumentato dell’80 per cento, quello della benzina del 52, il gasolio del 35, il gas per uso domestico del 30. Con l’invasione russa il gasolio per autotrazione è passato in pochi giorni da 1,5 euro al litro a 1,8, per poi superare alla pompa la benzina senza piombo (riscesa dopo aver rotto il muro dei due euro) e arrivando a 1,86. Si scatena la protesta dei camionisti, partono i primi blocchi della produzione, le dichiarazioni di stato di crisi: coi prezzi dell’energia alle stelle produrre non conviene più. Mentre altri governi in Europa emettevano misure per diminuire la pressione sui prezzi, Sánchez restava fermo, la maggioranza si avvitava nelle tensioni tra i soci di governo e le destre guidavano piazze e giornali nella rivolta sociale, che con difficoltà i sindacati si provavano a governare, come raccontammo qui. Sánchez in realtà stava giocando una partita più grande. Ha puntato tutto sul tavolo di Bruxelles e, ancora una volta, anche con azzardo, ha vinto.

La giustificazione ufficiale del trattamento speciale riservato alla penisola iberica sta nella buona gestione e nella crescita delle rinnovabili, nello scarso flusso in uscita – la Spagna esporta solo il tre per cento dell’elettricità che produce – in Portogallo, che praticamente ne dipende, e in Francia, marginale nel mercato transalpino – tale da non costituire una turbativa dei mercati. Un’eccezione con cui l’Europa, nel pieno dell’emergenza bellica, può “sperimentare” meccanismi di regolazione politica dei prezzi dell’energia, per esempio sulle modalità di compensazione delle imprese – le misure di riduzione dei prezzi saranno “Senza costi per il bilancio dello stato”, ha assicurato Sánchez. Ma sul tavolo la Spagna ha avuto un asso da giocare: un progetto strategico che sta trasformando il paese in uno dei principali hub energetici europei, diventato necessario e urgente per l’Europa, con la guerra russa in Ucraina che sta rimodellando il commercio mondiale delle fonti energetiche. E che riguarda anche l’Italia, che ha perso posizioni strategiche e per la quale si aprono delle finestre, e, più nell’immediato, per diminuire la nostra dipendenza energetica dalla Russia, come vedremo.

Le bollette materializzano nelle nostre mani il mercato energetico, il prezzo del riscaldamento, della luce, il pieno di carburante. I prezzi al consumatore finale dipendono da diversi fattori, domanda e offerta dei mercati, imposte e accise nazionali, regolazioni contrattuali europee e nazionali. E dal “prezzo marginale” con cui si calcola il costo delle fonti energetiche, tarato sul prezzo del gas. Per un motivo storico.

Tutto nasce nel 1989 a Londra, a coronamento del decennio tatcheriano, con l’approvazione dell’Electricity Act. In Inghilterra e Galles il monopolio verticale pubblico, a alta integrazione privata, viene destrutturato, totalmente separate reti e distribuzione, l’intero settore quasi completamente privatizzato. In quella fase si premiò quella che era la più pulita e moderna fonte d’energia, il gas naturale, del quale allora non ci si poneva il problema che fosse una fonte fossile e non una rinnovabile, agganciando al suo valore il prezzo dell’energia. Un meccanismo che aveva un senso, nel mondo di prima, serviva a promuovere la competitività del gas, e quindi gli investimenti su distribuzione e centrali, altrimenti scarsamente redditizie – un’altra indicazione, non bastasse questa guerra, che il mondo è cambiato e che gli strumenti di analisi e intervento che ci siamo dati possano essere inutili o controproducenti in questo mondo nuovo, che siano da sottoporre a urgente revisione -; un meccanismo affinato negli anni, se si tiene conto che dopo la Dama di ferro fu il discepolo John Mayor a occuparsene e poi Tony Blair – entrambi non alieni al settore elettrico, provenendo da incarichi alla London Electricity Board, società di servizi pubblici nella fornitura e distribuzione di energia elettrica, privatizzata e quotata in borsa nel 1990 nell’indice FTSE100, le cento società maggiormente capitalizzate al London Stock Exchange, ora in mani francesi.

Dal mondo dello scorcio del secolo scorso, dalla gloria delle privatizzazioni, passiamo a quello di oggi, ma ancora a ieri, a prima della guerra. Il gas è redditizio, la crescita della domanda aumenta i prezzi, il meccanismo che lo promuove scarica i costi sui consumatori finali e indebolisce le produzioni: il “modello inglese” è al capolinea ma le rendite di posizione, economiche e geostrategiche, sono difese con le unghie e coi denti. La storia degli ultimi anni è nota, aumenti in bolletta progressivi e implacabili. E in Spagna è peggiore che altrove. La privatizzazione dell’industria energetica nazionale, con la riforma Rajoy del 2013, ha reso già da anni la regolazione del mercato energetico un calvario per gli spagnoli.

Sánchez appare immobile davanti alla protesta ma arrivano posizionamenti in politica estera significativi. Madrid è la prima capitale europea a schierarsi al fianco degli Usa, non appena scattata l’invasione russa mette a disposizione mezzi e truppe spagnole all’armata statunitense che si schiera nell’area. Attualmente ci sono circa 800 militari spagnoli. Il grosso è tra Lituania e Lettonia, dove sono attive missioni rispettivamente dal 2014 e dal 2017. In Lituania sono stanziati 80 mezzi blindati a cui si sono ora aggiunti quattro caccia da combattimento, operativi su portaerei Usa, e tre navi da guerra nel mar Nero. Una partecipazione minore ma simbolicamente importante.

L’accordo con gli Usa è più ampio e viene da lontano. Il governo spagnolo sta da tempo lavorando sul fronte energetico, nel mutare dello scenario geostrategico, sulle infrastrutture, sulle relazioni internazionali. Il risultato è la svolta storica in politica estera: la Spagna abbandona la sua posizione sull’ex Sahara spagnolo e accetta la proposta marocchina di un’autonomia amministrativa dell’area.

Quarant’anni di politica estera rinnegati dall’oggi al domani, senza un dibattito, in malo modo, scatenando una grave tensione con l’Algeria, che apprende la notizia dal comunicato con cui, irritualmente e dando l’ultima spallata a Madrid, la corona marocchina annuncia al mondo accordo e contenuto. Sánchez rischia la crisi con l’Algeria per risolvere quella col Marocco. Nel tentativo di superare senza affrontarla una inadempiuta responsabilità storica.

Quando la Spagna si ritirò dal Sahara occidentale nel 1975, il Marocco lo occupò. Iniziò un periodo di relazioni complesse di 46 anni, sino a quando nel 2020 Trump riconoscendo la sovranità marocchina sul Sahara, cambia le cose. Le tensioni tra Algeri e Rabat, nate con l’occupazione del 1975, aumentano. Sulla frontiera si incrementano le truppe, si fanno manovre militari, si susseguono incidenti armati.

Se Madrid prova a far finta di nulla, mantenendo il più sotterranee possibili le conseguenze della svolta di Trump, non così fa Rabat che nella primavera del 2021, forte dell’appoggio Usa, approfitta del ricovero a Logroño per Covid-19 di Brahim Ghali, presidente della Repubblica saharawi e leader del Fronte Polisario (il fronte popolare di liberazione nazionale), per scatenare un’offensiva senza precedenti. Si apre la maggior crisi diplomatica tra i due paesi, con richiamo di ambasciatori e uso ostile dei flussi migratori. Il disimpegno marocchino nel controllo delle frontiere provoca un afflusso di migliaia di persone che entrano illegalmente in Spagna. La richiesta è esplicita: Madrid riconosca la sovranità marocchina sull’ex Sahara occidentale – come hanno fatto gli Usa, come alcune cancellerie europee, la Germania per esempio, ma anche la Francia nel suo complesso rapporto con l’ex colonia algerina, auspicano oramai più o meno apertamente.

La celebrazione del referendum di autodeterminazione, accordata nel cessate il fuoco tra Polisario e Marocco del 1991, appoggiata e deliberata dall’Onu, è carta straccia. L’ex Sahara spagnolo, abbandonato dal franchismo e di nuovo dalla democrazia, è travolto dai cambiamenti mondiali, l’indipendenza un sogno infranto apparentemente per sempre.

L’abbandono del popolo saharawi è difficile da digerire per la Spagna, non solo a sinistra, le destre lamenteranno il “cedimento” davanti al Marocco. È arrivato come un fulmine a ciel sereno ma si preparava da tempo, passato per molte cancellerie, partito da Washington, e da prima di Trump. Il disimpegno Usa dalle aree della Guerra fredda per guardare al Pacifico è strategico, si manifesta con Obama, già allora con Biden a pensare al Baltico e alle repubbliche ex sovietiche – Biden, a cui è scoppiata in mano l’idea di lasciare tensioni a est a presidio d’Europa, con la guerra ucraina a mostrare che era la strada sbagliata mettere a rischio la stabilità del principale mercato mondiale. Una soluzione che conviene all’Europa sul fronte dei flussi migratori. Un pezzo in una scacchiera ampia, la chiusura di una crisi specifica e un riassestamento profondo. Si parla, tutti con le stesse parole, di “soluzione più realistica e seria”.

Popoli in sofferenza, palestinesi, curdi, saharawi, sembrano pagare più di tutti il riassetto dell’ordine mondiale, anelli deboli della catena delle nazioni, oggetto di “soluzioni realistiche e serie” che travolgono decenni di deliberazioni delle Nazioni unite e aspirazioni nazionali.

Mentre la destra consuma la resa dei conti nel Pp, fa gli onori delle armi all’ex presidente del partito del partito Pablo Casado e innalza al soglio il nuovo, il galiziano Alberto Núñez Feijóo, Sánchez sembra approfittare della tregua, rischia la tenuta della maggioranza, riformula le linee strategiche, sembra fermo su temi cruciali, azzardato su altri. Con la guerra si accelerano processi in atto e l’occasione che si presenta è da cogliere, perché le debolezze possono essere in questa fase dei punti di forza. Ma il campo da gioco è esteso, per definizione riservato.

La Spagna è fra i paesi europei con maggiore dipendenza energetica dall’estero, il 78 per cento complessivo nel 2019, che diventa il 99,9 per il gas naturale; produce energia per il 44,9 per cento da prodotti petroliferi, per il 22,2 dal gas naturale, per 13,9 da fonti rinnovabili, per 11,3 dal nucleare, per l’8,6 per cento dal carbone. A titolo di confronto, l’Italia dipende dall’estero per il 73,4 per cento, nel gas per il 93 (c’è una produzione nazionale al 7, che include anche il biometano); produciamo energia per il 40 per cento dal gas naturale, per il 33 dal petrolio, per il 20 dal fonti energetiche rinnovabili.

Nei primi mesi dell’anno la Spagna ha importato 264.550 GWh di gas (più 10,6 per cento rispetto allo stesso trimestre 2021), il 49,1 proveniente dall’Algeria. Fino a novembre scorso attraverso due gasdotti, quello di Medgaz e il Maghreb-Europa, quando quest’ultimo è stato chiuso da Algeri per ritorsione sul Marocco, un altro passaggio cruciale per la Spagna. Solo alla fine di febbraio è stato riattivato. Agganciandolo alla rete del Marocco, che non garantisce i flussi dell’Algeria ma che entra così in gioco, con la Spagna, con l’Europa. Il Marocco, i saharawi, nel cui territorio ci sono giacimenti di gas naturale, l’Algeria – il cui ministro degli Esteri, Ramtane Lamamra, si è incontrato lunedì a Mosca con l’omologo russo Sergej Lavrov, pochi giorni fa fu il Segretario di stato Usa Antony Blinken a passare per Algeri, e martedì, in qualità di presidente del Gruppo di contatto della Lega Araba incaricato del conflitto di Ucraina (Giordania, Iraq, Sudan, Egitto), era a Varsavia per incontrare il ministro degli esteri Ucraino Dmytro Kuleba .

La Russia detiene 1.688 trilioni di piedi cubi (Tcf) di riserve accertate di gas (nel 2017), al primo posto con circa il 24% delle riserve mondiali di gas naturale (6.923 Tcf); ha riserve accertate pari a 102,3 volte il suo consumo annuo (cioè le son rimasti circa 102 anni di gas, agli attuali livelli di consumo ed escluse le riserve non conosciute).

L’Europa importa attualmente il 41 per cento del gas dalla Russia, che diventa il 70 per cento in dodici stati membri e il cento per cento in altri sei. La Spagna ha maggior differenziazione di fornitori (Algeria, Usa, Russia e Nigeria i principali); allo scorso novembre il 10,7 per cento del gas proveniva dalla Russia, ridottosi dallo scoppio delle ostilità del 17 per cento – attenzione ai dati di gennaio: Algeria 24,3 per cento (39 media annuale), Usa 33,8 (18,8), Nigeria 17,2 (12,9), Catar 2,3 (5,7), Russia 5,7 (7,8). Il 68,7 per cento del gas naturale importato è liquido (Gnl). Proprio questa dipendenza dall’estero ha fatto della Spagna un fondamentale hub di gas, essendo il maggior importatore di Gnl europeo si è convertita nel maggior “magazzino” europeo, in grado di sostituire parzialmente la Russia in questa funzione.

Il gas liquido è gas naturale portato a una temperatura di -162º, liquefacendolo e riducendone il volume di ben 600 volte, rendendolo così trasportabile in apposite grandi navi. Un processo complicato e costoso, non a caso si prediligono i gasdotti, dall’estrazione alla liquefazione, dal trasporto alla riconversione in gas, che sta però divenendo sempre meno caro, e per la cui ultima fase la Spagna ha a disposizione la maggior rete di stoccaggio e rigassificazione europea. È Gnl è quello che forniranno gli Usa all’Europa, già ora i primi fornitori alla Spagna di gas avendo scavalcato la Russia.

La rete del Gnl spagnola comprende tre siti di stoccaggio, due terrestri a Guadalajara e uno marittimo sulla costa di Bermeo, e il maggior numero di impianti di rigassificazione in Europa, sei sui venti esistenti (Bilbao, Mugardos, Huelva, Cartagena, Sagunto e Barcellona) più uno completato ma mai entrato in esercizio a El Musel, corrispondenti al 30 per cento della possibilità di stoccaggio di gas liquido (3,3 milioni di m3) e al 27 per cento della capacità di rigassificazione europee (1.910,40 GWh). Coi suoi 800 mila metri3 di stoccaggio Barcellona è il più grande sito di stoccaggio e trasformazione di gas liquido del Mediterraneo e gioca un ruolo di rilevanza strategica nella Prima guerra mondiale economica che si combatte accanto all’invasione della Russia in Ucraina.

“Finalmente si riconosce l’eccezione iberica nella politica energetica europea!”, come ha con soddisfazione sottolineato Sánchez, vuol dire questo: la Spagna si trova a essere centrale nelle strategie europee di riconversione e autonomia energetica, ancor più nella fase di passaggio, e diventa cruciale con la guerra ucraina. L’occasione è questa, consente di accelerare su scelte strategiche sulle quali la Spagna già stava lavorando.

Il piano del governo è già arrivato a Bruxelles e già da questa settimana una batteria di misure sono attive, e altre si aggiungeranno, in grado di abbassare al consumo i prezzi dell’energia, ma la manovra più ambiziosa riguarda la limitazione per legge dei prezzi di mercato. Lisbona e Madrid hanno presentato già la scorsa settimana una proposta preliminare alla Commissione europea che stabilisce un prezzo di riferimento per il gas di 30 euro/MWh fino alla fine dell’anno (oggi è di 119,99). Per abbattere il prezzo del mercato all’ingrosso solo nella penisola iberica sarà vigente un doppio regime. Da un lato, ci sarà un primo adeguamento alla frontiera in uscita, in modo che le esportazioni di elettricità verso altri paesi vengano remunerate al prezzo che corrisponderebbe in assenza di regolazione dei prezzi, e un secondo adeguamento, da applicare solo nella penisola iberica, in cui si introduce questa regolazione e il corrispettivo superiore al costo del gas verrà ripartito proporzionalmente sulle altre fonti energetiche. Secondo fonti del settore riportate dalla stampa il meccanismo consentirebbe di portare il costo medio dell’elettricità all’ingrosso sotto ai 100 euro/MWh, dai 225 attuali.

E l’Italia? Qualche traccia la dà l’Amministratore delegato di Snam, azienda gestrice di rete, stoccaggio e rigassificazione italiana, Marco Alverà, in un’intervista di Paolo Baccaro su La Stampa del 20 marzo. “Nel breve periodo, come previsto dal governo, si sta immaginando un ‘tubo virtuale’, fatto di ‘navette spola’ tra Italia e Paesi del Mediterraneo, compresa la Spagna”. Tante virgolette per occultare un concetto difficile da digerire: un ponte navale dalla Spagna all’Italia, per sostenere il paese più esposto nei confronti del gas russo dell’Europa del sud. Del resto, come spiega Alverà, “Servono più infrastrutture e bisogna realizzarle in fretta. È impensabile che in Spagna ci sia una capacità enorme di rigassificazione e che non si riesca a spostarla verso il resto d’Europa. Servirebbe con urgenza un collegamento fisico, il gasdotto dei Pirenei tra Spagna e Francia su cui insistiamo da anni – altro fronte aperto da Sánchez, un’opera quasi finita che i francesi avevano escluso dal bilancio, prima della guerra -. Se questo dovesse incontrare ostacoli si potrebbe immaginare un viadotto sottomarino che colleghi la Spagna con l’Italia, consentendo poi all’Italia di disporre di nuovo gas e eventualmente esportarne una parte verso il Nord Europa. E in futuro la stessa infrastruttura trasporterà idrogeno dalla Spagna”.

La convergenza di interessi tra Italia e Spagna continua a proporsi, per quanto storicamente restii siano i governi dei due paesi nell’accettarlo e essere conseguenti. Altri legami stretti come l’idrogeno, di cui la Spagna sarà grande produttrice – a partire da eolico e solare, a differenza di noi che lo produrremo in gran parte da fonti fossili – per il quale si utilizzeranno le reti che ora si usano per il gas naturale, e gli impianti di stoccaggio, con tecnologie di cui la Snam è leader nel mondo. E gli investimenti strategici comuni di Snam e dell’omologa spagnolo Endegás nel processo di privatizzazione del 66 per cento dell’operatore greco Desfa, in consorzio con altre due grandi aziende europee, e nel partenariato azionario del gasdotto Trans Adriatic Pipeline (Tap), che unirà la Turchia all’Italia, passando attraverso Grecia e Albania.

Anche qui, la guerra spinge processi in corso. Nel novembre 2019, Marco Alverà e Antonio Llardén, Presidente Esecutivo di Enagás, ricevono a Madrid il Premio Tiepolo per l’imprenditoria nelle relazioni economiche italo-spagnole. “L’Italia e la Spagna, anche grazie alla collaborazione tra Snam ed Enagás, svolgono un ruolo sempre più strategico nell’integrazione dei mercati e nella transizione energetica in Europa e nel Mediterraneo, a beneficio di cittadini e imprese”, ha detto Alverà. “Con l’acquisizione di Desfa – ha aggiunto Llardén – le nostre due aziende hanno posto le basi per lo sviluppo della Grecia come hub energetico del Mediterraneo Orientale e per l’ulteriore consolidamento del Corridoio Sud. La Spagna e l’Italia stanno contribuendo a creare una vera Europa dell’energia, più connessa, attraverso progetti come il gasdotto TAP è da tempo che collaboriamo con Snam in temi fondamentali per la transizione energetica, come lo sviluppo di progetti di idrogeno verde e altre tecnologie legate alla decarbonizzazione”. La “macchina” degli stati, le aziende strategiche, coi loro progetti spingono la cooperazione europea più del dibattito politico.

La movida spagnola ha anche l’effetto di muovere le acque. L’Algeria cerca altri mercati, non può ignorare l’accordo col “nemico” di Rabat. Un’altra “relazione privilegiata” che si chiude, quella con Madrid, che può creare spazi per Roma, magari nel ricordo di Enrico Mattei. L’Italia pare dover ancora uscire dal trauma libico, quando ha visto crollare il suo sistema di relazioni in Nord Africa. La realtà sollecita a farlo, e mettersi al servizio degli interessi europei, unica vera tutela degli interessi nazionali. È anche l’unica strada su cui possiamo essere forti, mettendo sul tavolo anche la carta dell’essenzialità strategica del nostro affrancamento dall’energia russa. Anziché limitarci ad accettare obtorto collo, magari silenziosamente contrastando, il ridimensionamento delle relazioni commerciali con la Russia, dovremmo prepararci a preparare la normalizzazione che, prima o poi, arriverà. Nel mondo nuovo, però, dove nulla è come prima. Mario Draghi martedì prossimo sarà ad Algeri, già questo giovedì Sánchez sarà a Rabat, a ufficializzare il nuovo corso. Le cose si muovono anche per noi negli spazi aperti dalla Spagna.

[I dati citati sono stati elaborati dalle seguenti fonti: Mise, Terna, Wordometer Statista, Ministerio Transición Ecológica, Red, Enagas, GIE/AGSI+; per la politica energetica spagnola un’utile finestra è costituita dal lavoro del direttore aggiunto del quotidiano La Vanguardia, Enric Juliana, sguardo attento e informato anche sulle cose italiane; nell’immagine in evidenza, Antonio Costa e Pedro Sánchez al XXXII vertice ispano-portoghese, tenutosi nell’ottobre 2021 a Trujillo (Cáceres), Spagna, foto Moncloa]

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