L’impatto ambientale delle mascherine anti virus usate non riguarda soltanto mari e oceani — come ha denunciato il Corriere due giorni fa — ma anche la vita quotidiana nelle nostre città. Perché i dispositivi medici da smaltire nel ciclo dei rifiuti sono aumentati a dismisura da quando è iniziata la pandemia: «Dal 10 marzo ad oggi, siamo passati da 100 a 400 tonnellate al mese», sottolinea Marco Sperandio, presidente della Rea Dalmine, che gestisce l’impianto di termovalorizzazione vicino a Bergamo, ultima tappa dei rifiuti provenienti dagli ospedali della Lombardia, in particolare dalle province di Bergamo, Lecco e Lodi. E, a parte le mascherine chirurgiche o quelle FFp1, 2 e 3 in uso al personale medico e paramedico e a tutti i dipendenti degli ospedali, ci sono i milioni di face mask utilizzate nelle famiglie italiane in quarantena: mascherine che per la maggior parte sono usa e getta, non possono essere riutilizzate. E che inquinano non solo sotto il profilo ambientale (sono fatte di microfibre di poliestere o polipropilene) ma anche sotto quello epidemiologico. Perché migliaia di soggetti che non sanno di essere portatori asintomatici del virus — nella sola Milano sarebbero già 135 mila — potrebbero diffondere il contagio anche attraverso la raccolta differenziata: a casa come nelle aziende che riapriranno. Un’altra drammatica conseguenza del Coronavirus, dunque, potrebbe essere la fine della raccolta differenziata. Un problema che la Cina sta affrontando da giorni: oltre 20 città sono sommerse di mascherine, guanti e tute usate e lo smaltimento procede a rilento, scrive il South China Morning Post.
Gli esperti del settore ribadiscono le indicazioni dell’istituto superiore di sanità sul conferimento dei rifiuti. Ma c’è un problema: i soggetti asintomatici portatori di virus potrebbero diffondere il contagio anche attraverso la differenziata. Tutto all’inceneritore, senza soste
La circolare dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) parla chiaro: chi è in quarantena perché positivo al Covid-19 non deve fare la raccolta differenziata ma «mettere tutto (mascherine e guanti, anche i fazzoletti usati, perfino tutto l’umido) dentro uno stesso sacco, possibilmente doppio». Alle aziende che gestiscono la raccolta dei rifiuti viene raccomandato poi «di stabilire giri dedicati con l’autocompattatore per raccogliere i sacchi presso le abitazioni in cui sono presenti persone in quarantena obbligatoria». Parallelamente, già da ora, siamo tutti tenuti a gettare almeno guanti, mascherine e fazzoletti nell’indifferenziata, come chiariscono le tabelle dell’Iss. Eppure non basta: come si fa, infatti, a sapere se tra le persone che non sono in quarantena obbligatoria non ci sono soggetti portatori asintomatici del virus? Anche per loro, tutto andrebbe mandato separatamente all’inceneritore: senza soste intermedie. (qui lo speciale «La parola alla scienza»).
L’indifferenziata può girare tra più impianti
Invece, spiega l’ingegner Mario Grosso, docente di Gestione e Trattamento dei Rifiuti Solidi al Politecnico di Milano, «talvolta i rifiuti indifferenziati girano da un impianto all’altro, e questa continua manipolazione aumenta la probabilità di un rilascio di sostanze patogene». E poi, «non possiamo essere sicuri che tutti i cittadini facciano esattamente come è stato detto loro». Quindi il rischio contaminazione nella gestione dei rifiuti c’è, anche perché «in Italia da decenni siamo in una situazione di criticità, con un’impiantistica inadeguata in molte parti della penisola; molto sbilanciata tra una regione e l’altra», spiega il professor Grosso, che da oltre vent’anni segue e studia il mondo dei rifiuti. «Parlo del turismo dei rifiuti che viaggiano a destra e sinistra perché in certe zone il ciclo di gestione e trattamento non è completo — continua —. Prendiamo il caso del Lazio: fino a una decina di anni fa mandava tutto il rifiuto indifferenziato in discarica; adesso va in impianti che lo manipolano, i TMB (impianti di trattamento meccanico biologico) che in maniera estremamente grossolana separano il rifiuto in vari flussi».
Rifiuti ospedalieri lombardi nell’impianto di pre-trattamento della società Zanetti, da dove, una volta sanificati, vengono inviati all’inceneritore della Rea Dalmine
A Roma netturbini in ferie per paura del contagio
Già lo scorso novembre, a Roma, il Campidoglio avrebbe dovuto individuare «almeno due siti dove effettuare operazioni di trasferenza dei rifiuti urbani indifferenziati», ma a inizio febbraio ancora non l’aveva fatto. In giunta ancora si litiga sull’idea di un nuovo inceneritore da 210 mila tonnellate, da costruire su un terreni del ministero della Difesa. Attualmente l’indifferenziata, laddove funziona la raccolta porta a porta, viene prelevata una volta a settimana e mandata all’inceritore Acea di Colleferro, che ha aperto un bocchettone aggiuntivo da 30 tonnellate al giorno dopo che, con ordinanza del 1° aprile, la Regione Lazio ha disposto che tutta l’indifferenziata sia incenerita. Per i soggetti positivi e in quarantena obbligatoria è stato organizzato un servizio speciale di ritiro «di tutti i rifiuti chiusi in almeno due sacchetti uno dentro l’altro». Ma i netturbini della Capitale hanno paura del contagio: al 20 marzo 4 dipendenti su 10 delll’Ama, la municipalizzata per l’Ambiente erano in« malattie, ferie, o in congedo per l’assistenza di persone disabili».
Il nodo degli impianti di Dalmine e Orbassano
Diversa la situazione al Nord, dove sono concentrati 29 dei 51 termovalorizzatori italiani: in Piemonte, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige, Veneto. E in Lombardia, dove gli inceneritori hanno dovuto prima di tutto far fronte in questi 40 giorni al carico aggiuntivo di rifiuti ospedalieri. La Rea Dalmine fa parte del gruppo Greenthesis, specializzato nel trattamento dei rifiuti speciali ospedalieri, che tramite Ambienthesis Spa possiede e gestisce anche l’impianto di Orbassano (Torino) — la più grande piattaforma in Italia per il trattamento dei rifiuti speciali, pericolosi e non (capacità oltre 500 mila tonnellate/anno) — e il sito a San Giuliano Milanese, destinato all’attività di stoccaggio dei rifiuti speciali. Complessivamente il gruppo gestisce oltre 1 milione di tonnellate di rifiuti l’anno.
La benna dell’impianto di smaltimenti per rifiuti speciali Rea Dalmine
«Con gli asintomatici, esplosione della raccolta»
«Se oltre agli ospedali e ai positivi in quarantena si dovesse tener conto di tutti i soggetti possibili asintomatici, si dovrebbe affrontare un’esplosione della raccolta», sottolinea Giovanni Bozzetti, presidente dell’Area esteri di Confindustria CisAmbiente, che conta 380 associati (per un fatturato complessivo di circa 10 miliardi) e copre tutti i settori dell’ambiente e dell’ecologia: dalla raccolta allo smaltimento e recupero dei rifiuti, alle attività di bonifica. «Per fortuna nel frattempo la situazione va migliorando — nota Bozzetti, che è anche presidente del Cda di Ambienthesis — e siamo in grado di sopportare l’emergenza per alcuni mesi. Se davvero, come sembra, entro metà di maggio andremo verso lo zero nella curva dei contagi, non ci saranno problemi».
Gli imballaggi: sulla plastica il virus vive di più
Resta il fatto, ricorda Mario Grosso, che «dato che la plastica è la superficie su cui questo virus vive di più, dovremmo ricordarci che oltre a mascherine e guanti nelle nostre case entrano grandi quantità di imballaggi di in plastica (ndr. circa 50 kg l’anno per famiglia) e quando torniamo dalla spesa ci portiamo dietro confezioni che chissà quante persone hanno manipolato; sulle quali il virus può restare vivo per alcuni giorni». Con i rifiuti contaminati c’è poco da scherzare: occorre isolarli e far sì che vengano manipolati il meno possibile a vadano subito al trattamento più sicuro, «che è il trattamento termico a 900 gradi, l’incenerimento — dice il docente del PoliMi —, chiamiamolo “processo di recupero energetico dai rifiuti, con un rigoroso controllo delle emissioni nell’atmosfera”»..
Tutto dovrebbe essere trattato come i rifiuti ospedalieri
Tecnicamente, la soluzione giusta sarebbe far raccogliere alle varie aziende ambientali municipali «tutti i sacchetti come fossero tutti rifiuti ospedalieri — suggerisce Grosso —, ma è un’ipotesi da escludere perché comporterebbe organizzare un giro di raccolta a parte, dal punto di vista logistico ed economico assolutamente impossibile». Non resta che adottare la soluzione dei tre sacchetti: uno dentro l’altro perché ormai con la bioplastica si lacerano o si bucano spesso, come indica chiaramente la regione Campania. Tuttavia se questo rifiuto indifferenziato viene conferito ad impianti TMB, la prima operazione di trattamento prevede proprio l’apertura dei sacchetti, vanificando questo sforzo e generando un possibile rilascio del virus.
Camici, guanti e mascherine delle aziende che riaprono
Nel frattempo, le aziende di raccolta e smaltimento si preparano ad una nuova ondata di sacchetti di indifferenziata a rischio virus: se dalla settimana prossima ripartiranno molte aziende grandi e piccole, per i dipendenti mascherine e dispositivi individuali (anche guanti e camici) saranno obbligatori per mesi: «Potrebbe essere un problema — avverte Giovanni Bozzetti —, bisogna capire come risolverlo: se fare una raccolta differenziata a parte per questi materiali o utilizzare la tecnica di mettere tutto nell’indifferenziata». E bruciarla al più presto. Molto dipenderà dalla correttezza di persone e aziende che gestiscono il materiale da conferire: «Coscienza e responsabilità ambientale sono le parole chiave — raccomanda Bozzetti —. Anche se le analisi sugli anticorpi nel sangue potrebbero aiutarci, non è detto che sul lavoro non ci siano persone inconsapevolmente positive. Ci vorrà grande attenzione. Bisognerà sapere come mettere e togliere mascherine e guanti, dove metterle quando si arriva a casa, cosa fare con le scarpe, dove smaltire i dispositivi medici...»
Un piattaforma online per educare i ragazzi
La prima arma sarà la formazione: «Il contrasto ambientale del virus — sottolinea il manager di Greenthesis — si aumenta con la giusta comunicazione. Occorre modificare la cultura delle persone». Proprio poco prima che esplodesse l’emergenza in Italia, Greenthesis aveva avviato un progetto di formazione nelle scuole. «Dovevamo fare 3 grandi incontri a Bergamo, Torino e Padova, il primo era ai primi di marzo, quando iniziò la pandemia. Cancellammo gli incontri fisici, ma era già tutto caricato online: così in queste settimane abbiamo rilanciato l’iniziativa con molti docenti e per adeguarci alla didattica virtuale abbiamo dato accesso ad alcuni nostri server a professori e studenti. Tra pochi giorni dovremmo aggiungere un nuovo modulo, che darà informazioni proprio sulla gestione dei rifiuti in emergenza Covid». «A Milano, Brescia, Torino, Bologna, Parma, Piacenza, i rifiuti indifferenziati vanno subito nei camion e poi alla fossa di accumulo dell’impianto di incenerimento», spiega il professor Grosso. Una fossa chiusa e mantenuta in depressione, da cui la benna preleva i rifiuti per spostarli ad alimentare il forno. Tra tutti questi impianti, quelli che sono anche autorizzati a trattare rifiuti ospedalieri devono prevedere addirittura un passaggio diretto dai camion al forno, con sistemi automatici che bypassano la fossa: un metodo che, oggi, con 130 milioni di mascherine consumate ogni mese in Italia, sarebbe meglio adottare per tutti i rifiuti indifferenziati.