Serviranno delle nuove figure, nuovi stabilimenti, nuove tecnologie: per riuscire a rendere il mondo del tessile, dell’abbigliamento e delle moda completamente sostenibili ci vorranno anni. Ma quello che sta accadendo in Europa e in Italia è porre le basi per una rivoluzione necessaria . A livello normativo ci sono tre cose in atto: a marzo la Commissione europea pubblicherà la strategia per il tessile sostenibile, nel nostro Paese dal 1 gennaio 2022 è diventato obbligatoria per legge la raccolta differenziata dei rifiuti tessili, che ha anticipato di tre anni il limite imposto dall’Europa. Nel 2020 è stato invece emanato il decreto relativo all’EPR, extended producer responsibility – la responsabilità estesa del produttore alla gestione del prodotto quando diventa rifiuto – ma siamo ancora in attesa del decreto attuativo che ne stabilità l’entrata in vigore e le modalità. Siamo pronti ad affrontare questi cambiamenti che avranno un impatto forte sull’industria della moda e del tessile italiani? È stato saggio anticipare di tre anni l’obbligo di differenziata senza avere ancora una struttura pronta? Sistema Moda Italia ha fatto un passo in più, creando il contesto per gestirli. A gennaio è stato infatti annunciato il lancio di Retex.green , il consorzio formato da produttori, per il riciclo nella moda: un sistema collettivo EPR – al quale le aziende si assoceranno inizialmente su base volontaria – per la gestione dei rifiuti del tessile, dell’abbigliamento, delle calzature e della pelletteria, patrocinato da SMI Sistema Moda Italia e da Fondazione del Tessile Italiano.
Mentre aspetta le linee guida dall’Europa, l’Italia si è mossa per non farsi cogliere impreparata: con 3 anni d’anticipo, nel nostro Paese dal 1 gennaio 2022 è diventato obbligatoria per legge la raccolta differenziata dei rifiuti tessili. Smi ha dato forma a una filiera che privilegia il riuso e previene la discarica
«La cosa più sostenibile del mondo sarebbe, per assurdo, il non consumo», spiega Sergio Tamborini, presidente di Sistema Moda Italia e Ad di Ratti , storica azienda tessile del comasco. «Ma è difficile da praticare se costa meno comprare un prodotto nuovo che non riparare il vecchio. Cinquant’anni fa, i pantaloni avevano 20 centimetri di orlo in più per poterli allungare, le camicie venivano vendute con i colli e con i polsini di ricambio. Poi siamo andati verso un consumo frenetico e adesso cambiare rotta è complicato. Con la sua creazione, il consorzio mette in condizione le aziende di essere protagoniste del processo di riciclo e della circolarità».
Parole d’ordine: misurabilità e circolarità Le parole d’ordine per il percorso che ci si prospetta, secondo Tamborini, sono due: misurabilità e circolarità . Entrambe presenti nel position paper presentato al Ministero per la Transizione ecologica che dovrebbe porre le basi per regolare Epr e riciclo in ambito tessile, abbigliamento e moda. La prima per stabilire cosa si intenda per sostenibilità, disegnando parametri e confini oggettivi per aziende e produttori, la seconda è una necessità che si è già manifestata in altri ambiti e che dovrebbe diventare la soluzione preferibile al fine vita dei prodotti. «All’interno della piramide del riciclo, abbiamo dato la precedenza al riuso. Davanti a questo abbiamo proposto un ulteriore step, che è la non produzione di rifiuti , quindi l’attivazione di procedure che possano rendere il capo riparabile o riportare in condizioni vergini il tessuto perché non diventi mai un rifiuto», continua Tamborini. Oggi il marchio è registrato ed è collettivo, utilizzabile dalle aziende che vorranno aderire. (continua a leggere dopo i link )
Le parole d’ordine per il percorso che ci si prospetta, secondo Tamborini, sono due: misurabilità e circolarità
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Nuove figure Le figure che saranno incluse nel consorzio vanno da “valle” a “monte” della filiera e comprendono tutti coloro che possono essere considerati dei produttori : dai tessuti, alla pelle, ai capi finiti. Uno degli obiettivi più chiari che il consorzio si pone è rendere lo smaltimento dei tessuti trasparente, evitando a ogni costo quella zona grigia di legalità in cui si trova oggi. «La raccolta dei capi è già attiva da tempo in Italia e in Europa, ma la quota di parziale illegalità presente nel sistema è evidente e nota a tutti», aggiunge il presidente di Smi. «Per questo all’interno del consorzio abbiamo creato una società di scopo che ha l’obiettivo di fare da garante della legalità. Verrà introdotta poi la figura del Waste management contractor che gestirà i rapporti con le società operative per le quali saranno introdotti dei protocolli precisi». Le dimensioni all’inizio volutamente ridotte e il muoversi per piccoli passi risponderanno a questa esigenza. Una questione da non sottovalutare e particolarmente delicata, soprattutto quando si parla di reputazione aziendale.
Le figure che saranno incluse nel consorzio vanno da “valle” a “monte” della filiera e comprendono tutti coloro che possono essere considerati dei produttori
Dare vita a una filiera del riciclo praticamente da zero non è cosa da poco. Ad oggi, oltre a Retex.green è attivo anche il consorzio del tessile di Federdistribuzione . Un nodo da sciogliere è quello della complessità: se i capi fatti di un unico materiale sono più semplici da riciclare – pensiamo al distretto di Prato, dove ogni anno vengono importate e trattate 180mila tonnellate di lana, come riporta laboratorio Ref – più complesso è il discorso per le mischie. Senza considerare che nel consorzio Retex.green sono inclusi anche produttori di accessori come borse e scarpe, quindi oltre ai tessuti si dovranno gestire anche pelle, bottoni, zip . I rifiuti tessili dovranno attraversare fasi come cernita, sanificazione e smalti- mento, ma per rendere il processo più semplice e per evitare che i capi finiscano per diventare rifiuti sarà fondamentale intervenire sulla produzione stessa, fornendo delle linee guida di eco-design.
Il modello francese In Francia, l’Epr è attiva dal 2007, «ma ci hanno messo oltre dieci anni per arrivare dove sono oggi» , spiega Tamborini. E rappresenta il modello a cui rifarsi. Come funziona? I soggetti produttori versano (o sarebbe meglio dire anticipano, dal momento che è integrato nel prezzo finale al consumatore) un contributo a seconda della tipologia e della dimensione del prodotto immesso sul mercato, che varia a seconda della presenza di fibre riciclate e della durabilità. Grazie a questo sistema, sempre secondo i dati di laboratorio Ref, in Francia sono stati raccolte circa 100mila tonnellate di rifiuti tessili in più fra 2009 e il 2019, con il 57 per cento di riutilizzo e il 33 per cento di riciclo.
In Francia, l’Epr è attiva dal 2007, «ma ci hanno messo oltre dieci anni per arrivare dove sono oggi»