Business rifiuti: gli effetti collaterali dell'utilizzo massiccio del biogas in agricoltura - Il Mattino di Padova Padova

2022-08-13 04:48:11 By : Ms. snow xu

Concime naturale fatto dall’industria, l’uso del digestato fa bene ai campi e anche all’ambiente ma se se ne viene sparso troppo “uccide” la falda e il mare. Sesa regina del compost e Padova capitale veneta

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PADOVA. Ormai ogni autobotte che entra in un terreno agricolo viene guardata con sospetto e timore. Sono tanti gli interrogativi e i dubbi sulla composizione del compost, e anche del digestato che esce dagli impianti di biogas. Ma la concimazione organica non è certo una novità, semmai è la corretta gestione di questi prodotti a richiedere una particolare attenzione.

IL FENOMENO «Da ormai vent’anni conduciamo prove sul compost in tutti i settori colturali» ricorda Paolo Minella, responsabile Ambiente di Coldiretti Padova «proprio per consentire un corretto utilizzo agronomico di questo ammendante. Non dimentichiamo che il compost, come anche il digestato, contiene sostanza organica preziosa per i nostri terreni, grazie alla quale è possibile ridurre l’uso di concimi chimici, migliorando così l’impatto ambientale e le condizioni di lavoro degli agricoltori. Garantire un giusto apporto di sostanza organica ci aiuta a preservare l’ambiente. «Ampie zone agricole della Pianura padana, anche nel nostro territorio, sono a rischio desertificazione proprio per la scarsità di sostanza organica. Quando siamo sotto al 2% c’è appunto il rischio che questi terreni inaridiscano e siano improduttivi, da qui il ricorso alle concimazioni chimiche, in particolare urea ed azoto. Se invece, anziché ricorrere a queste sostanze, derivate dal petrolio, possiamo impiegare compost, digestato, letame e pollina riduciamo l’impatto della chimica e creiamo un circolo virtuoso di riciclo». La quantità. Resta aperta però la questione relativa al volume di compost e digestato che viene effettivamente sparso nei campi. «L’uso agronomico della sostanza organica varia in funzione della tipologia di coltura» continua Minella «perché ad esempio il mais ha bisogno di parecchio azoto, quindi di un maggior apporto. In media nei terreni dove si andrà a piantare mais si può arrivare a spandere anche 400 – 450 quintali di compost o digestato per ettaro. Per tutte le altre colture invece, come frumento, barbabietola, orzo, la quantità va dimezzata, intorno ai 200 quintali per ettaro. Rispettare i quantitativi corretti è una buona pratica agronomica che fa bene alle coltivazioni e mantiene in equilibrio l’ambiente. «Un eccessivo carico di sostanza organica può avere pesanti conseguenze sui corsi d’acqua superficiali, in caso di forti piogge, e anche sulle falde sotterranee. A chi avesse dei sospetti sulla concentrazione di sostanza organica e azoto consigliamo di fare un’analisi chimico-fisica del terreno. È poi opportuno chiedere informazioni e documenti sulla composizione del compost e del digestato che sta per essere sparso».

Il peso dell'azoto. Per le concimazioni con i liquami zootecnici gli agricoltori devono rispettare la “direttiva nitrati”, la normativa regionale che prevede il carico di azoto sui terreni, al massimo 170 chilogrammi per ettaro all’anno nei terreni “vulnerabili”, come tutta l’area del “bacino scolante” in Laguna, che comprende la parte orientale della provincia fino a tutto il Conselvano. Nelle altre zone invece è concesso arrivare a 340 chilogrammi di azoto per ettaro. La Regione stabilisce anche i periodi in cui non è possibile concimare. Il periodo ideale è quello estivo, dopo la raccolta dei cereali. Al problema degli odori, lamentato da chi abita nei pressi dei terreni concimati, è possibile ovviare con l’immediata aratura ma anche usando uno strumento che permette di “iniettare” i liquami 20-30 centimetri sottoterra. Il compost invece non dovrebbe puzzare, se sottoposto a una corretta “maturazione”. L’odore ritorna se il terriccio si bagna, ad esempio con la pioggia, perché l’acqua fa ripartire la fermentazione organica. (n.s.) SESA LA REGINA Un quarto del compost nasce dentro Sesa. A Ospedaletto funziona il principale impianto nella regione, messo sotto accusa da una recente inchiesta giornalistica

Un quarto del compost da rifiuti urbani di tutto il Veneto viene prodotto in Sesa. Ottantamila tonnellate all’anno, che valgono per la società atestina un ricavo annuo di 250 mila euro. Un’attività dunque che riveste un certo peso nell’economia della società di via Comuna a maggioranza pubblica. Un’attività che nelle ultime settimane è stata messa in discussione dall’inchiesta che la redazione giornalistica di Fanpage ha dedicato proprio alla qualità del compost Sesa. La videoinchiesta ha causato anche forti prese di posizione da parte dei Comuni della Bassa padovana, molti dei quali hanno emesso ordinanze molto stringenti sull’utilizzo del compost nei terreni agricoli dei vari territori comunali. Ma com’è possibile – lo ha dimostrato Fanpage con la sua inchiesta – che nel compost finiscano plastiche, vetri e metalli? «Il compost prodotto dal compostaggio dei rifiuti organici differenziati, per essere commercializzato, deve rispettare severissimi limiti per i parametri sia di tipo agronomico che a tutela dell’ambiente» cerca di chiarire Sesa «Il contenuto in metalli pesanti è estremamente ridotto in relazione al fatto che vengono utilizzati principalmente scarti di cucina nel ciclo produttivo. La normativa tiene conto anche del fatto che nei rifiuti raccolti in modo differenziato i cittadini possono inavvertitamente introdurre nel rifiuto organico anche sacchetti in plastica e non solo quelli biodegradabili». Le tecnologie degli impianti Sesa rimuovono gran parte dei sacchetti in plastica, ma una percentuale sfugge al controllo e finisce nel compost. La norma sui fertilizzati ne ammette la presenza (come anche del vetro), a patto non superi lo 0,5 % del totale. I PREZZI Il fertilizzate vale da 1 a 90 euro a tonnellata, cambia la qualità ma dall’umido si ricavano anche gas, energia, “bollicine” e acqua. Nella nostra provincia sono attivi diversi impianti di compostaggio per il trattamento della frazione vegetale e organica dalle raccolte differenziate dei rifiuti urbani. I due principali sono quello di Sesa, in via Comuna a Este, e di Etra Spa a Vigonza. Uno degli ultimi dati aggiornati in casa Etra è del 2015 e parla di 37.958 tonnellate di umido raccolte e trattate, per poi produrre quasi 6.500 tonnellate di compost di qualità. Meno di un decimo di quanto se ne produce in Sesa: ogni anno la società atestina chiude l’attività con almeno 80 mila tonnellate di compost prodotto. «Al fine di migliorarne ulteriormente la qualità, Sesa ha scelto di non utilizzare fanghi di depurazione biologica civile, né tanto meno industriale, nel proprio ciclo produttivo» fanno sapere dalla sede di via Comuna «Va inoltre chiarito che il digestato liquido non viene mai distribuito da Sesa che, al contrario, tratta internamente e depura tutti i liquidi prodotti nel proprio processo industriale». Dunque gli unici materiali in ingresso utilizzati da Sesa sono rifiuto organico (gli scarti di cucina che arrivano dalle utenze domestiche), rifiuti vegetali e ciò che deriva dalla manutenzione del verde. I rami del business. Il trattamento della frazione organica, Sesa non ottiene solo il compost. Viene infatti prodotto anche il biometano con il quale viene alimentata la flotta di camion che ogni giorno percorrono le vie della Bassa padovana per effettuare la raccolta differenziata porta a porta, ma anche l’energia elettrica che alimenta i propri impianti e che in parte viene ceduta alla rete Enel pubblica. E ancora, energia termica riutilizzata con l’impianto del teleriscaldamento che ha consentito di spegnere molte caldaie in centro città di Este ed Ospedaletto Euganeo. Da ultimo, acqua potabile che viene utilizzata internamente negli impianti anche per lavare i mezzi. Il compost prodotto è avviato alla commercializzazione sia direttamente che attraverso società terze. Più o meno 700 tonnellate all’anno vengono distribuite alla popolazione, sia nei punti di raccolta della differenziata, sia in occasione di manifestazioni. Il compost commercializzato è in prevalenza allo stato sfuso; solo una parte minore viene confezionata in sacchi, come quelli che si trovano nei supermercati o in big-bag per le serre. Una parte ancora minore viene pellettizzata. Il piano industriale prevede in futuro il confezionamento dell’intera produzione di compost. Il compost Sesa finisce nei più svariati ambiti: a terricciatori professionisti, colture di pieno campo, coltivazioni arboree, florovivaismo, frutteti, vigneti, oliveti. Su un aspetto Sesa vuole essere chiara: non esiste alcun agricoltore che venga pagato per ritirare il compost.

I numeri. Da un metro cubo di scarto organico – una tonnellata di rifiuto, quanto cioè prodotto ogni anno da 14 persone – Sesa produce con la digestione anaerobica 120 metri cubi al 60 per cento di metano, 300 kWe di energia elettrica e 300 kWt di energia termica. C’è poi il prodotto del compostaggio: 400 chili di ammendante organico. E ancora: i 120 metri cubi di biogas diventano 48 chili di biometano, utili a far percorrere a una vettura 1.200 chilometri. Ma non solo: dal biogas si ricava anche anidride carbonica – 83 chili in tutto – che serve a rendere gasati 4 mila litri di bevande. La vendita di anidride carbonica per creare le “bollicine” nelle bibite è un altro mercato in cui si sta insinuando la società di via Comuna. Ultimo frutto del ciclo di trasformazione dell’umido è ovviamente l’acqua: il depuratore biologico ne tratta almeno 500 litri per ogni tonnellata di scarto di cucina. Altro numero che Sesa utilizza per lodare la bontà del ciclo virtuoso dell’umido è quello legato all’indotto lavorativo: trattare mille tonnellate di scarto da cucina, a detta dell’azienda, genera almeno 1,5 posti di lavoro.

I costi. I quantitativi medi utilizzati annualmente da un agricoltore, pur con variazioni a seconda del tipo di coltura praticata, sono di circa 20/50 tonnellate per ettaro. Il prezzo di vendita dell’ammendante misto-compost sfuso varia tra 1 a 10 euro a tonnellata. Se pellettizzato lo stesso compost viene venduto a 60 euro sfuso e quello confezionato, come quello che si trova nei negozi per il giardinaggio, arriva a circa 90 euro. Il compost per agricoltura biologica viene venduto a 29 euro la tonnellata. Il ricavo complessivo di Sesa dalla produzione del compost e dalla commercializzazione alle aziende agricole e aziende di confezionamento terze è di circa 250 mila euro all’anno. Con la realizzazione del proprio impianto di confezionamento, la società stima un aumento importante dei ricavi.

Stop all'arrivo dal Sud. C’è chi dice che non sia un caso che lo stop arrivi proprio a ridosso dall’inchiesta Fanpage. In questi giorni nei media pugliesi si parla della chiusura, da parte degli impianti Sesa di Este e Bioman (legata al socio privato di Sesa) di Maniago (in provincia di Pordenone) al rifiuto umido proveniente dal Brindisino. I due impianti hanno limitato la disponibilità ad accogliere rifiuto organico da mille a 200 tonnellate settimanali. I motivi? Ce ne sono vari, tra cui il grado di impurità eccessivo del rifiuto umido pugliese. (N.C.) LA TRASPARENZA Una proposta in dodici punti per avviare una attenta verifica sull’attività degli impianti di biogas, una sorta di vademecum operativo per i sindaci per tenere sotto controllo un’attività che nell’ultimo decennio non ha fatto che crescere e sulla quale si sa assai poco. Entro la settimana il documento sarà sottoposto agli amministratori durante un’assemblea pubblica su iniziativa di Luca Martinello del Movimento 5 Stelle di Conselve e di Diego Boscarolo, fondatore del “Moraro” di Bagnoli, entrambi in prima linea da anni sui temi ambientali. «Intendiamo chiedere ai sindaci di affrontare e approfondire l’impatto degli impianti di biogas sul territorio» spiegano Martinello e Boscarolo «invitandoli ad applicare quanto è già previsto dalle autorizzazioni e dalle prescrizioni per gli impianti rilasciate dalla Regione. Abbiamo il diritto di sapere come lavorano questi impianti e con quale impatto, ma anche di conoscere nel dettaglio i prodotti usati e le analisi sul digestato». Non va trascurato nemmeno l’impatto del passaggio dei mezzi pesanti sulle strade e ai proprietari è richiesto il rispetto di uno specifico piano del traffico. Le misurazioni annuali sulle emissioni in atmosfera dei gruppi di cogenerazione inviate ad Arpav e Regione dovranno essere rese pubbliche, insieme alla composizione delle biomasse in uscita dai fermentatori e accumulate all’esterno degli impianti. Idem per la composizione dei digestati liquidi e le analisi delle acque reflue svolte ogni tre mesi dai proprietari. «Se ci sono vasche di lagunaggio» aggiungono «chiediamo la pubblicazione delle analisi delle acque di falda che vengono eseguite annualmente e trasmesse a Regione e Arpav. Vi sono poi altri obblighi, come i documenti di viaggio che accompagnano le biomasse, il controllo sulla realizzazione obbligatoria della rete di teleriscaldamento collegata all’impianto, sulle eventuali misure compensative a favore del territorio, sulle siepi ed alberature previste per il mascheramento degli impianti. Da verificare anche le fideiussioni per l’abbattimento e il ripristino e l’avvenuto collaudo entro i tre anni dall’entrata in funzione dell’impianto». Da ultimo un interrogativo sul futuro e sulla possibile conversione di questi impianti alla produzione di biometano attraverso l’impiego di rifiuti. PADOVA CAPITALE È l’ultimo decennio ad aver conosciuto il boom degli impianti di biogas, grazie agli incentivi destinati a questa fonte di energia rinnovabile. Padova è la prima provincia del Veneto per presenza di impianti, 57 su un totale di 220 nella regione, che coprono circa il 31% della potenza complessiva. Quasi il 90 per cento degli impianti di biogas attivi in Veneto sono legati a una fonte agricola. Dalla digestione anaerobica degli effluenti zootecnici, come i liquami delle stalle, le biomasse vegetali e i sottoprodotti, è possibile ottenere energia elettrica, calore e digestato da impiegare come fertilizzante. Un impianto di piccole dimensioni è ideale per soddisfare il fabbisogno energetico di un allevamento e rappresenta anche una fonte di reddito per l’azienda, dopo il ritorno dell’investimento iniziale. Ma la proliferazione di numerosi impianti entro il megawatt di potenza, il limite entro il quale si può beneficiare del contributo incentivante più elevato, non sempre però fisicamente accanto a una stalla o a una azienda agricola ben identificabile, ha suscitato perplessità e il sospetto che si sia lasciato spazio alla speculazione, ricorrendo anche all’uso massiccio del mais come “combustibile” per far fruttare i biodigestori, una scelta molto controversa e contestata. Un fenomeno quest’ultimo più marcato nei primi anni, quando l’uso di fonti vegetali era più massiccio. Nell’ultimo periodo invece, stando ai dati di Veneto Agricoltura, è nettamente aumentato il ricorso agli effluenti e ai liquami di origine zootecnica. Inoltre il Consorzio Italiano Biogas sta promuovendo il progetto “biogas fatto bene” rivolto alle aziende agricole per contenere le emissioni in atmosfera, ridurre il consumo di acqua e fare ricorso alla doppia coltivazione sfruttando le potenzialità degli impianti. (N. S.) VOCABOLARIO Compost. È una miscela simile al terriccio, di aspetto bruno, ottenuta per triturazione e fermentazione (decomposizione batterica, in presenza di ossigeno) di residui solidi organici come la frazione umida dei rifiuti urbani. Una volta completata la fermentazione il compost viene usato come fertilizzante in agricoltura. Digestato. È il residuo del processo di digestione anaerobica, che avviene negli impianti di biogas, di sostanza organica come liquami zootecnici, biomasse vegetali, sia di scarto che dedicate come il mais, ma anche sottoprodotti di origine animale. È di consistenza semi-solida e può essere usato come fertilizzante. Azoto. È un elemento nutritivo di fondamentale importanza per tutti gli esseri viventi e indispensabile per la crescita delle piante. È il fertilizzante più utilizzato in assoluto in agricoltura ma la sua concentrazione e distribuzione deve essere tenuta sotto controllo per salvaguardare le acque di falda e superficiali.

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